Un film non è necessariamente un prodotto finale: una somma teorica composta da un soggetto, una sceneggiatura una ripresa più o meno riuscita, una recitazione, un montaggio e via dicendo. Un film è anche una testimonianza più o meno sincera, un pezzo di vita nel quale uno ci mette il suo cuore o la sua intelligenza, la sua esperienza magari autobiografica o il suo ragionamento eventualmente deduttivo.
GLI ELETTI esaminato con metodo che noi supponiamo critico, non è probabilmente un capolavoro del cinema moderno: è filmato in modo tradizionale, è recitato con altrettanta tradizione teatrale, non ha nulla d'inedito. Eppure è un film che non si dimentica. Per una ragione più che evidente: che questa amicizia fra due giovani ebrei, uno ortodosso e l'altro "laico", questo scontro fra un'educazione più vicina e Dio e un'altra più a somiglianza d'uomo, questa situazione ambientata negli anni quaranta dalla creazione dello stato d'Israele e che quindi non può non sfociare sul litigio del sionismo, è vissuta con una innegabile partecipazione personale.
Si sente, cioè, che Kagan parla di cose che lo hanno toccato autobiograficamente, prima di essere state riprese da un celebre best-seller di quindici anni fa.
Interpretato da Rod Steiger, da Maximilian Schell e dai due giovani Bobby Benson e Barry Miller con toccante partecipazione, GLI ELETTI risalta così nel repertorio delle bambinate ad effetto del cinema americano: per la sua intelligenza, per la sua volontà di scavare, e in profondità, alcuni ritratti umani.